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ENNESIMO ATTACCO RANSOMWARE: “BLOCCO DEI BENI”?

L’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale ha diffuso la notizia di un massiccio attacco hacker contro migliaia di sistemi in tutto il mondo, tra cui l’Italia. Trattasi di un attacco ransomware globale che sfrutta le vulnerabilità di determinati sistemi non aggiornati per criptare i dati contenuti e successivamente chiedere il pagamento di un riscatto per riottenerli.

Ennesimo episodio di criminalità informatica che conferma la tendenza del 2022. Infatti, solo lo scorso anno, nel nostro Paese sono state frodate più di 150 imprese per un ammontare complessivo di oltre 20 milioni di euro (sono soltanto 4 i milioni recuperati grazie all’intervento della Polizia Postale).

Quanto accaduto riaccende nuovamente i riflettori sull’opportunità di impedire -e quindi vietare- il pagamento del riscatto da parte delle vittime al fine di arginare il fenomeno criminoso. In particolare, l’ordinamento italiano, al contrario di altri Paesi, non ha espressamente previsto un divieto in tal senso e nemmeno ha fornito all’autorità giudiziaria gli strumenti per bloccare l’eventuale pagamento dei soggetti colpiti.

A fronte dell’aumento esponenziale del numero dei cybercrimes si pone quindi il tema dell’estensione del c.d. “blocco dei beni” anche alle ipotesi di attacco informatico. Nello specifico, durante la stagione dei sequestri di persona a scopo estorsivo, il legislatore intervenne attraverso la Legge n. 82 del 1991 prevedendo la possibilità per il Pubblico Ministero di richiedere il sequestro dei beni appartenenti alla persona sequestrata, ai suoi parenti, nonché a tutti coloro rispetto ai quali vi fosse il fondato motivo di ritenere che potessero pagare il prezzo del riscatto.

In ragione del dilagare degli episodi di criminalità informatica ai fini estorsivi ritorna quindi in auge il tema dell’estensione di tale disciplina anche al ramo dei ransomware, come già avviene negli Stati Uniti d’America. Il modello U.S.A., infatti, impedisce alle aziende colpite da attacchi informatici di pagare il riscatto. Oltre all’evidente risparmio economico per le imprese, eliminerebbe alla radice la prospettiva di guadagno degli hacker facendoli così desistere dal realizzare l’azione criminosa.

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