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CAPORALATO E INTERPOSIZIONE FITTIZIA DI MANODOPERA: LA SCELTA DEI FORNITORI ALLA PROVA DELLE MISURE DI PREVENZIONE

Il caso Alviero Martini conferma la crescente attenzione d’indagine sulle filiere produttive, dove le imprese sono chiamate a compiere un’approfondita due diligence nella scelta dei fornitori.

Dal punto di vista penalistico, nel corso degli anni, si sono susseguite molteplici soluzioni giurisprudenziali al fine di arginare fenomeni di interposizione fittizia di manodopera ed eventuali condizioni di sfruttamento del lavoro, cercando di colpire al contempo la persona fisica e l’impresa approfittatrice.

In primo luogo si rammenta il reato contravvenzionale di somministrazione fraudolenta di cui all’art. 38-bis D.lgs. 81/2015, il quale punisce il somministratore e l’utilizzatore che pongono in essere rapporti di lavoro con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore. Trattasi, tuttavia, di una fattispecie che non costituisce presupposto per la responsabilità degli enti ai sensi del D.lgs. 231/01.

Di conseguenza, gli sforzi interpretativi si sono concentrati sul reato fiscale di cui all’art. 2 D.lgs. 74/2000, stante l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la diversità tra il soggetto emittente la fattura (fornitore) e quello che ha fornito la prestazione (lavoratore) integra la fattispecie di frode fiscale per utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (Cass. 16302/22; Cass. 36900/13). In tal modo la Procura è in grado di perseguire anche l’ente attraverso il D.lgs. 231/01.

Così nella vicenda DHL, in cui l’accusa aveva riscontrato lo schema di somministrazione fittizia di manodopera e dunque una responsabilità per frode fiscale evitata dalla società solo a fronte della successiva assunzione dei lavoratori somministrati. E ancora nei casi Esselunga, Uber, Lidl e UPS.

Nel caso Alviero Martini, però, si entra in una nuova dimensione di questa tendenza. Infatti, pur senza una diretta contestazione alla società del reato di interposizione fittizia di manodopera nella filiera produttiva o di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p., alias “caporalato”, presupposto 231 ma contestato solo ai fornitori), l’ente si ritrova comunque a subire le conseguenze dell’omesso controllo sulla filiera produttiva. Ciò attraverso il ricorso alle misure di prevenzione del codice antimafia (D.lgs. 159/2011), ulteriore approdo che testimonia l’evoluzione delle strategie di contrasto ai fenomeni di sfruttamento lavorativo e irregolarità nella gestione delle risorse umane.

In attesa di conoscerne gli sviluppi, questa casistica insegna che le imprese ormai devono essere in grado di selezionare dei fornitori fiscalmente e lavorativamente “sani” e di farlo dotandosi di Modelli 231 idonei a verificare e prevenire la commissione degli illeciti di cui sopra, mantenendo una costante vigilanza sulla filiera di approvvigionamento.

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