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LE SEZIONI UNITE SULLE PENE ACCESSORIE PER LA BANCAROTTA FRAUDOLENTA

All’esito dell’udienza pubblica dello scorso 28 febbraio, le Sezioni Unite della Cassazione hanno fissato un nuovo traguardo nel percorso, avviato dalla Corte costituzionale, per pervenire ad un’interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 216 della legge fallimentare.

Il Giudice delle Leggi, con la celebre sentenza n. 222/2018, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 216, ultimo comma, L.F. nella parte in cui prevedeva un termine di durata fissa – 10 anni – delle pene accessorie del reato di bancarotta fraudolenta (inabilitazione all’esercizio di un’ impresa commerciale ed incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa).

Il testo attuale, come manipolato dalla Corte, prevede dunque un termine di durata variabile fino a dieci anni”.

Riconosciuta una discrezionalità in capo al giudice di merito, si è posto il problema di individuare i criteri per la determinazione della durata della pena accessoria: se essa, secondo il disposto dell’art. 37 c.p., debba essere uguale alla durata della pena principale applicata ovvero se debba essere determinata dal giudice, nell’ambito dei limiti edittali risultanti dalla nuova formulazione, in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p.

A questa seconda tesi hanno aderito le Sezioni Unite della Cassazione che hanno enunciato il seguente principio di diritto, diffuso dall’informazione provvisoria del servizio novità della Corte: «Le pene accessorie previste dall’art. 216 legge fall., nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, così come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen

Non resta che attendere le motivazioni degli Ermellini a questo nuovo approdo che pare destinato ad essere al centro dei prossimi dibattiti dottrinali.

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